1. Contest di scrittura: Halloween
    And the winner is...

     
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    Dialogo


    Autore: Trooper
    Genere: Horror
    Rating: giallo


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    Hai il coraggio osservando lo specchio di affermare che non sei malvagio?
    Hai il coraggio osservando nei tuoi stessi occhi di affermare che l'oscurità galoppante dentro di te sia solo il riflesso delle tue buone azioni?
    Beh, io no. Ma chi è più malvagio? Io che lo riconosco o tu che lo neghi?
    Sai col senno di poi è facile parlare, dopo aver vissuto abbastanza da abbandonare ogni piccola ancora di salvezza ti lasci cadere in un vuoto che man mano diventa più scuro, più caldo e per quanto ci provi a negarlo: piacevole. Un sorso di ambrosia si diceva, un solo sorso e tutti noi saremmo diventati succubi di ciò che gli dei hanno da sempre usato come cibo. Ecco cos'è la malvagità, figlia della paura di una presa di coscienza tanto bramata quanto maledettamente rinnegata. Un ossimoro di sensazioni, ma su abbi il coraggio di negare che in fin dei conti tu non sia malvagio come me. Cambierai idea, la malvagità è in tutti noi.
    Lascia che ti racconti una storia, una piccola favola in modo da renderti più chiaro di cosa io stia parlando. Come per William Wilson che venne condotto dalla sua innaturale immaginazione e dal suo straordinario genio verso l'estraniazione: anch'io ero strano.
    Perlomeno ero diverso.
    A Bay City non è facile crescere, non è facile farsi largo fra quello schifo del primo livello. Se nasci ricco vivrai, se nasci povero allora potrai solo guadagnarti il diritto di sopravvivere e giuro; giuro sul sangue che ormai ho mischiato alla pioggia: io ci ho provato. Ci ho provato...
    Ci ho provato?

    Quando ero solo un bambino non riuscivo a provare piacere nel semplice divertimento di un ragazzotto del primo livello, non riuscivo a trovare soddisfazione rubando, non cercavo la pace interiore picchiando gli altri ragazzi e di certo non ero il tipo che si sarebbe messo un pezzo di latta sul petto improvvisandosi sceriffo fra i ragazzi. No. Non riuscivo, spesso li osservavo in disparte. Osservavo i primi amori, le prime lotte, la cattiveria ingenua di cui l'infanzia è pregna e soprattutto la crescita dei miei coetanei la loro evoluzione mentre io stesso, io stesso mi negavo quella possibilità perché non era fatta per me. Non li capivo, non gli appartenevo e più loro erano vicini a me più io sentivo il desiderio di isolarmi, di cercare la spensieratezza in qualcosa che ancora non avevo compreso sino in fondo. Solo, in un mondo che non aveva mai promesso a nessuno l'amore od altre stronzate. Solo anche fra le persone più sole. Solo o semplicemente diverso?

    Certo lo so cosa stai pensando. Io so che mi stai giudicando, che mi stai compatendo che pensi di aver compreso cosa io sia o cosa io abbia mai provato.
    No. NO! Tu non hai capito nulla, come loro! Non hai capito un cazzo di quello che sta succedendo, tu non mi conosci.
    Ma imparerai a farlo, imparerai. Come per un patto con il diavolo, imparerai a tue spese.

    Credo che accadde tutto quell'unico giorno, la mia età aveva raggiunto da poco la doppia cifra ma già sapevo sparare e dove nascondermi. Mi improvvisai anche tecnomedico, all'inizio sperimentavo sui topi ma poi passai anche ad altri animali come cani e gatti randagi... quando ero fortunato di trovarne a Bay City. Conoscevo quest'ultima, abbastanza per sopravvivere a tutto ciò che non fosse la sfortuna di beccarsi un proiettile vagante in petto o lo schifo chimico del primo livello.
    Solo come al solito, me ne stavo in disparte ad osservare in silenzio gli altri ragazzi giocare, normalmente per abitudine o sicurezza mi piazzavo più in alto di loro e godevo la pace del non essere visto.
    Un giorno però quella mia abitudine mi si ritorse contro o a favore? Ti lascerò giudicare, anzi no: sbagliare.
    Più in là riuscii a notare qualcosa che forse era troppo per un bambino come me. Mentre i miei coetanei -un agglomerato di senzatetto poveri del primo livello- allo scuro di tutto si passavano un pallone di stracci a solo una decina di metri ed un muro dall'azione, io fui l'unico a godere di quella scena.
    C'era un uomo di mezza età, probabilmente messicano o giù di lì: era stato preso di mira da altri tre uomini eleganti. Non li sentivo, ma li vedevo. Il messicano estrasse una pistola e sparò al tizio in mezzo, ma gli altri due senza nemmeno pensarci due volte quasi come fosse la scena di un film d'epoca lo fermarono sparandogli nello stomaco. Rimasi impietrito, i miei occhi spalancati e la bocca era spezzata in una smorfia di pura paura e disgusto.
    Avrei voluto urlare ma se mi avessero sentito, probabilmente avrebbero compreso la presenza di un qualche tipo di testimone oculare. Volevo andarmene ma ero impietrito di fronte a quella scena che sembrava andare ancora avanti e probabilmente a lungo. Il tizio in mezzo vivo, si tolse la camicia scoprendo un esoscheletro in acciaio, era la prima volta che ne vedevo uno. Afferrò un braccio del messicano e glielo tolse dal corpo: di netto. Un giocattolo nelle mani di carne ed acciaio di quell'essere. Alto in cielo come fosse una bandiera, quell'arto veniva usato per mutilare ulteriormente il corpo della vittima. Ricordo solo che dovetti deglutire per non vomitare.
    Ad un colpo seguiva uno spasmo del corpo morto, ad ogni spasmo si alzava il terrore che potessero vedermi ma allo stesso tempo mi si rivoltavano le viscere anche per via della veemenza con cui quel mezz'uomo infieriva sul corpo della povera vittima. Non appena finì, di scatto afferrai il muretto sotto di me e cercai di nascondermi dietro. Non ci pensai due volte e mi lancia giù, cadetti da tre metri senza la minima protezione. Impattai sull'amaro e salmastro fango del primo livello di petto, persi fiato ed un fiotto di quello che probabilmente era il mio sangue misto al vomito uscì dalla mia bocca; eppure mi ripresi, scattato in piedi corsi via alla ricerca di un riparo. Senza accorgermene anche i miei coetanei avevano lasciato il posto allertati dagli spari e dai versi di dolore che il messicano prossimo alla morte emetteva condannato ad una sorte peggiore di quella degli animali.
    Seguirono due notti insonni, tutte in quel maledetto magazzino disabitato che usavo come rifugio provvisorio. Il dolore al costato ormai andava affievolendosi ma anche se avessi avuto un polmone perforato sarei morto senza capirlo: la mia unica preoccupazione era quello che ebbi il dispiacere di vedere.
    Fermo e senza la minima intenzione di muovermi passai così 64 ore da quello che vidi. La fame, come la sete passarono in secondo piano. Persino la mia testa aveva smesso di pensare.
    Non mi preoccupava il trauma avevo sentito da un bisturi amico che le pile potevano essere resettate in seguito ad un danno psichico od un trauma rimuovendo letteralmente quel ricordo, ma non ero né abbastanza ricco per permettermelo, né abbastanza coraggioso per parlare con qualcuno di quello che avevo visto. Rischiavo di attrarre attenzioni indesiderate e rischiare di sprecare la botta di culo avuta nell'essere riuscito a scappare senza troppe conseguenze.
    Allo scoccare della sessantacinquesima ora però qualcosa in me si smosse, mi trascinai sino al nascondiglio in cui tenevo i viveri e mi nutrii di quel poco che era rimasto. Ripresomi, mi alzai in piedi e con calma mi diressi fuori.
    Volli dimenticare tutto, da allora non esisteva più quell’evento nella mia testa. Ma c’era, C’ERA! E Dio, DIO se mi sbagliavo. Da lì divenne tutto sempre più semplice mio piccolo amico che ora ascolti le mie parole. Le ultime farneticazioni di un pazzo.
    Tornai su quel cadavere sai? Distrussi la sua pila e godetti nel vedere come il sangue colava misto ad olio. Ma ora sono buono e manca molto poco alla fine dei racconti ed alla tua fine.
    Ci fu un evento che risvegliò in me quel ricordo, dei bulletti vennero a cercarmi nella mia amata fabbrica abbandonata. Un colpo semplice dopotutto, un ragazzo da solo contro tre armati? Sai come andò a finire? Mi divertii con loro, molto di più di quanto possa fare un normale umano. Lasciai in vita solo il capo mentre mi occupavo degli altri due, semplici custodie dicevo io, semplici urla ecco cosa creavano loro mentre uno ad uno scuoiai vivi le loro custodie per darle in pasto al loro capo.
    Le prima volte digiunò, poi mangiò e di gusto mostrandosi come il mostro che era. Mostro lui che mangiava, non io che lo nutrivo. Quando ebbi finito con loro iniziai a nutrirlo anche con il suo stesso corpo: andammo avanti così per settimane.
    Avevamo 15 anni.
    Ma il vero divertimento venne dopo, lasciai quel pasto per ultimo, ormai delle sue gambe rimaneva solo uno scheletro e di ciò di cui potevo cibarlo a tutti gli effetti era rimasto ben poco. Se per ben poco s’intende ovviamente lo scheletro e qualche nervo. Sublime visione di come ormai si fosse rassegnato, di come non richiamasse solo che la morte al suo capezzale rinunciando letteralmente a tutto ciò che poteva avere un minimo di speranza.
    Né idoli, né dei, né mafie e nemmeno demoni l’avrebbero salvato da cosa ancora avevo in mente di fare con il suo corpo da piccolo teppista. La notte di Halloween come a voler celebrarla nascosi nei classici lembi di carne anche le pile dei suoi amici. Quando morse ormai sperso, rividi nei suoi occhi un attimo di vita. Più masticava, più comprendeva l’atto che stava letteralmente facendo. Divorò a costo dei suoi stessi denti le pile dei due che si era portato dietro e con solo alla fine urlò obbligandomi a tagliargli la gola.
    Non avevo paura che lo potessero sentire, aveva già urlato prima, mi ero semplicemente stufato. Come un giocattolo volli la sua reazione all’ultimo atto ma poi, l’interesse svanì.
    Di come mi sbarazzai del corpo non credo ti interessi, anzi è quasi divertente che tu sappia come alla fine mi tenni per me la sua pila. Da allora la porto al collo, la catena passa proprio in mezzo al foro che ho creato quella sera stessa con un chiodo e mi serve per ricordare quanto dolce sia il sapore del dolore e della sofferenza altrui.
    Ma lascia che ti spieghi un’ultima cosa: Halloween non è sopravvissuta alla censura del protettorato. Ha cambiato nome, riti, significato e anche giorni. Ma grazie alle farneticazioni di quale vecchio pazzo del primo livello ricollegai quel giorno alla notte del 31 Ottobre. Non so perché si festeggi quel giorno, ma so che da quel giorno iniziai a festeggiarlo.
    Un omicidio era il rito. Con ogni vittima mi sono divertito sino allo scoccare della mezzanotte, dove alla fine serafico gli concedevo la grazia prendendomi la loro reale morte.
    Non l’ho mai fatto per soldi, l’ho fatto sempre per piacere e per bisogno.
    Tanti sono i nomi che al primo livello ricevetti per indicare la leggenda metropolitana che passo dopo passo si nutriva di tutte quelle sparizioni di cui sono il colpevole ma quello che preferisco è il nome che mi diedero i messicani: per i messicani sono la Santa Morte. Dio, ora sono un dio.
    Ma anche io sono una persona buona, a modo mio amo intrattenere la persona che ho rapito, racconto del perché si sia giunto a tanto. Non cerco espiazione, io amo quello che sono diventato, cerco solo di far capire alla vittima che non è per nulla importante se è stata scelta per il mio diletto.
    Può essere tutto: un’incursione nella rete andata male, un bicchiere di troppo, un giro da una prostituta o semplicemente sfortuna.
    Ciò che conta è che sappia come io sia diventato malvagio.
    Ciò che conta è che sappia come andrà a finire quel racconto.
    Ciò che conta non è la rassegnazione o la paura, ma la rabbia.
    Ciò che conta è che in questa festa dimenticata io possa dare alla vittima il suo augurio.

    Quasi dimenticavo, buon Halloween.

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